Comitato comasco

per la sanità pubblica

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Dossier Sant'Anna

Un ospedale incerto

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Le ragioni e il metodo, * Perché?, * Il binomio strada – ospedale, *

La storia di una pratica, * Ridurre, alleggerire, destrutturare, *

Piano Sanitario 2001-2000, * Rafforzare la tutela dei soggetti deboli, *

La localizzazione a Villa Guardia, * Ipotesi per la nuova collocazione, *

La Legge Merloni-Ter, * Posizione delle opposizioni, *

Aspetti ambientali, * Chi decide?, *

Ipotesi sul futuro dell’area, * Relazioni pericolose, * Comica finale, *

Ultime notizie, *

 

 

Como, 31 maggio 2001


 

Introduzione

Le ragioni e il metodo

Dove costruiranno i nostri nipoti il prossimo ospedale di Como?

La domanda non è retorica. Siamo tutti abbastanza convinti che, dopo qualche decennio un ospedale, come dicono alcuni usando un termine assai sgradevole, è "obsoleto". Il territorio, invece, non è infinito. Per questo la necessità di investimenti nella struttura ospedaliera del Sant’Anna non coincide, necessariamente, con la ricerca di un'area per una nuova edificazione. Occorre che ci orientiamo verso prospettive che qualcuno chiama "di sviluppo sostenibile" e arriviamo a immaginare che la destinazione di un'area ad ospedale non è una scelta temporanea: perché non cominciare a pensare che tutti gli ospedali dei prossimi 500 anni possano essere ancora tutti e sempre lì, rinnovati e rifatti continuamente e, per questo, da progettarsi, da subito, con questa idea di fondo?

Il dibattito pubblico suscitato dall'ipotesi di trasferire l'ospedale Sant’Anna meritava qualche riflessione sulle ragioni e sul metodo, ma alla maggioranza dei cittadini, per motivi diversi, è impossibile accedere ad informazioni sufficientemente attendibili mediante le quali costruirsi un'opinione personale documentata.

Il cittadino-elettore si aspetta che proposte di tale rilevanza siano formulate sulla scorta di accurati approfondimenti metodologici, di una ponderosa documentazione e di dati certi ed incontrovertibili. Per questo abbiamo cercato di conoscere i contenuti di queste argomentazioni, per comprendere con quali valutazioni attendibili e imparziali fosse stata misurata la compatibilità di scelte e obiettivi, quali studi avessero messo a confronto vantaggi e svantaggi di ipotesi diverse, quali analisi avessero stimato con la cura necessaria i costi diretti e quelli indiretti indotti sulla collettività (anche per infrastrutture, servizi ecc.) e sui singoli cittadini.

Questa raccolta di documenti e di riferimenti può consentire a tutti di comprendere il processo sul quale si fondano la proposta avanzata dagli amministratori dell'ospedale Sant’Anna ed il sostegno da parte di alcuni uomini politici.

La lettura della documentazione fa nascere più di una riserva nei riguardi del processo decisionale messo in atto, che appare scaturire da una sollecitazione esterna più che da una progettazione coerente e strutturata, insufficiente nelle condizioni, nelle ragioni e quindi nelle argomentazioni necessarie per ottenere il consenso dei cittadini comaschi.

Alla luce degli effetti prodotti, poi, il metodo adottato si è già rivelato disastroso: ha innescato malcontento, generato sfiducia e insoddisfazione, col rischio di far nascere un contenzioso che allontanerebbe nel tempo ogni concreta possibilità di migliorare, davvero, le strutture dell'ospedale comasco.

Un ulteriore dato è la spaccatura all'interno di quelle stesse forze politiche che si erano mosse a sostegno dell'idea. Le divisioni ma anche le oscillazioni di questi ultimi giorni da una posizione a quella opposta sono la manifestazione più evidente della fragilità delle fondamenta su cui poggia il progetto.


La vicenda esige, quindi, di essere letta per quello che è, cercando risposte ad una serie di domande:

Perché?

Superficialità. Perché sono stati sbrigativamente accantonati altre proposte, altri argomenti e suggerimenti ?

Innocenze. Perché vengono pressoché ignorate tutte le implicazioni negative che tale scelta indurrebbe sul territorio ?

Illazioni. Perché sono vistosamente sottovalutate tutte le conseguenze sul futuro della sanità pubblica in città?

Preconcetti. Perché la proposta di un nuovo ospedale a Villa Guardia è diventata, da subito, un assunto "a priori" e un'ipotesi si è trasforma nell'unica possibilità ?

Dimostrazioni. Perché ogni argomentazione espressa successivamente da parte dei "decisori" sembra essere "a tesi"?

Superamenti. Perché sono abbandonati percorsi progettuali precedenti ed ormai prossimi alla concretizzazione?

Convergenze. Perché per portare sostegno all'idea avanzata vengono cercate solo alcune alleanze?

Senza volere anticipare, in questa breve introduzione, l'insieme di argomenti diffusamente trattati in questo dossier, è utile rilavare il significato di quanto ha inteso fare il nostro gruppo di lavoro, che costituisce anche il nucleo fondante di un "Comitato comasco per la sanità pubblica", aperto all'adesione di ogni altra cittadina e cittadino comaschi. Nel cercare di mettere a disposizione di tutti informazioni, dati e documentazioni raccolti dalle fonti originali ed dalle competenze disponibili, abbiamo creduto di sollecitare i nostri concittadini ad un recupero, attraverso la partecipazione alla "costruzione delle decisioni", di quella sovranità che non può essere ridotta al solo esercizio del voto.

Quanto è stato raccolto, quindi, è il risultato di un lavoro attento che i componenti il "Comitato" offrono alla città, nell'intento, non nascosto, di rendere esplicito uno stile particolare dell'impegno, civico e politico, al servizio della ragione.

(b.m.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Dossier è stato realizzato da: Marilena Ambrosini, Luigina Ciccotti, Luciano Forni, Tiziana Frigerio, Daniela Guarnotta, Bruno Magatti, Gerardo Monizza, Alfredo Mortera, Antonio Muscolino, Massimo Patrignani, Elio Peverelli, Ermanno Pizzotti, Paolo Portoghese, Alberto Rovi, Emilio Terragni.


Il binomio strada - ospedale

L'Ospedale (anche quello di Como) nasce per la strada, sorge sulla strada.

L' Ospedale Sant'Anna si inaugura nel 1932 nella sua nuova sede sulla Napoleona. Che cos'era allora la Via Napoleona? Lo dicono, tre anni dopo (novembre 1935), l'architetto Cesare Cattaneo e il pittore Mario Radice nella relazione di progetto per la Fontana di Camerlata da posizionare "all'ingresso di Como turistica e monumentale"; la Napoleona era allora il "tronco stradale più frequentato da veicoli di tutta Italia". L'Ospedale è stato dunque costruito dove c'era il maggior passaggio di traffico, ma era appena dentro l'ingresso cittadino.

Dov'era prima il Sant'Anna? Era in via Cadorna, appena fuori delle mura di Como.

Perché l'Ospedale Maggiore, sorto nel 1468 raggruppando undici Ospedaletti minori, era stato ubicato dove oggi stanno il Conservatorio e l'Istituto Tecnico Commerciale "Caio Plinio Secondo"? Perché era vicino all'ingresso di Porta Torre stando sull'asse che collegava l'attuale via Milano con la Strada Regina, attraverso il Ponte di Sant'Abbondio, come evidenziano le mappe catastali. Vicino scorreva la Roggia Molinara, le cui acque servivano alle necessità igieniche del nosocomio.

Dunque, l'antico Sant'Anna intercettava il traffico in ingresso alla città e quello che le scorreva a latere. La strada veniva prima dell'Ospedale, ma l'Ospedale era a ridosso della città.

Che cos'era anticamente un Ospedale? Una struttura per i poveri, i pellegrini, gli orfani, infine per i malati. Nel Medioevo nasceva per interessamento di privati, con finalità di assistenza mosse da sentimento religioso di carità. Nel Rinascimento sorsero su iniziativa o con il sostegno delle signorie, con valenza pubblica, e razionalizzarono la dispersione di ospedali piccoli e poco efficienti.

Spezzettare i servizi e le specialità di un Ospedale allontanandoli tra loro sul territorio è contrario a qualsiasi logica. Lo avevano capito più di cinquecento anni fa accentrando piccoli ospedali in uno solo.

Decentrare l'Ospedale molto al di fuori della convalle, lungo assi di percorrenza insufficienti o creati artificialmente rischia di penalizzare non solo i malati, ma la vocazione pubblica dell'Ospedale. I Comaschi saranno portati per comodità a rivolgersi alle altre strutture cittadine anche se private. La tendenza è già in atto. Se si vuole accentuarla si porti l'Ospedale lontano da Como.

(a.r.)

 

 


La storia di una pratica

L’ipotesi della costruzione di un nuovo Ospedale in sostituzione della struttura del Sant’Anna situata in Camerlata non è certamente nuova ed è stata coltivata, in passato, senza approdare mai ad una decisione definitiva.

Il trasferimento dell’Ospedale Maggiore Sant’Anna dalla sede di Como (ora via Cadorna) a Camerlata, completato con l'inaugurazione del 1932, ebbe una genesi lunga: nel 1906 l’ing. Luigi Catelli formulava due ipotesi: ristrutturazione in loco o costruzione del nuovo Ospedale; nel 1909 veniva presa la decisione del trasferimento dell’Ospedale a Camerlata su progetto dell’ing. Tempioni. Solo nel 1925 era dato l’incarico all’ing. Marcovigi di Bologna di redigere il progetto esecutivo, con la collaborazione in sede locale dello stesso ing. Luigi Catelli, con la consulenza sanitaria del dott. Ronzoni dell’Ospedale Ca’ Granda di Milano. L’opera, realizzata con una struttura a padiglioni sul terreno di donazione della N. D. Teresa Rimoldi, vide il suo completamento nel 1932, dopo sette anni, e dopo 23 anni dalla decisione di trasferire l’Ospedale. Non sappiamo quante discussioni furono fatte; i tempi comunque non furono rapidi, segno che mettere fretta ai comaschi non serve molto.

Il nuovo Sant’Anna, alla fine degli anni ‘50, risultava inadeguato tanto che si propose di trasformare l’Ospedale con la costruzione di un monoblocco che s’inserisse nei padiglioni centrali con uno sviluppo in verticale. L’opera, progettata dall’ing. Rossi ed eseguita dall’impresa Nessi & Maiocchi, fu ultimata nel 1968, presidente l’avv. Diodato Lanni. In anni successivi fu costruita la sede della scuola per infermieri professionali, i bunker per gli ambulatori e gli spazi di degenza della radioterapia e della medicina nucleare, opere ultimate negli anni ’80 e ’90.

Nel 1988 fu stanziata, nel Bilancio dello Stato (legge 67/88) per la ristrutturazione del Sant’Anna, ritenuto nuovamente inadeguato, la somma di 100 miliardi per iniziativa del ministro Carlo Donat–Cattin. Il Comitato di Gestione, seguendo gli indirizzi della Giunta Regionale, con regolare bando, affidò nel 1989 alla Med – System del gruppo Techint l’incarico di redigere un progetto di massima. Venne redatto un progetto per la messa a norma degli impianti tecnologici e per le opere più urgenti per una spesa di 25 miliardi e un progetto di ristrutturazione complessiva dell’Ospedale per 75 miliardi. Quanto al progetto, fu stesa anche l’ipotesi di costruire un nuovo Ospedale nella piana di Lazzago, di cui esiste un planivolumetrico (Presidente Forni). L’ipotesi, presentata all’assemblea dell’USSL nel 1990, non fu poi coltivata, anche perché nel 1991 (1° luglio) al Comitato di Gestione dell’USSL n. 11 subentrò un Commissario (avv. Giglio) che nel periodo dal ’91 al ’95 fece redigere nuovi progetti con bando nazionale per utilizzare la tranche di 25 miliardi col fine di realizzare le opere urgenti, ancora oggi in via di ultimazione.

Negli anni ’96 – ’97 fu deliberata la predisposizione del piano OSARE (OSA sta per Ospedale Sant’Anna) per l’utilizzo dei 75 miliardi della seconda tranche del finanziamento ’88 dal Direttore Generale dell’Azienda dott. Riboldi, trasferitosi poi in Emilia. Tale ipotesi fu recepita dal Piano Strategico Triennale dell’Azienda Ospedaliera e approvata il 13/1/99. Erano previste opere di ristrutturazione e di miglioramento complessivo della struttura. Con delibera n. 41596 del 22 febbraio 1999 la Giunta Regionale della Lombardia approvava il Piano Strategico dell'Azienda rendendolo esecutivo.

Nel frattempo, il management dell’Azienda (Direttore Generale Navone, Direttore Sanitario Antinozzi, Direttore Amministrativo Colombo) lanciava l’idea della costruzione di un nuovo Ospedale, in sede diversa da Camerlata, e presentava l’ipotesi nei Rotary clubs, nei Lions Clubs, senza contattare formalmente né l’Azienda Sanitaria Locale, né il Comune di Como, né la Provincia titolare, per legge, del parere sulla localizzazione di nuove strutture Ospedaliere, né il Ministero della Sanità. La consuetudine e affinità politica lasciano supporre contatti con l’Assessore alla Sanità Borsani di Alleanza Nazionale.

Nell’aprile dello stesso anno 1999 il Collegio delle Imprese Edili ed Affini della provincia di Como, sua sponte, redige una pubblicazione dal titolo "Sant’Anna 2000 – Argomenti a supporto delle decisioni." (quali?). Facendo riferimento ai criteri per l’accreditamento da parte della Regione delle strutture Ospedaliere pubbliche e private in forza della legge regionale 31/97 e alla Delibera della Giunta Regionale n. VI/38133/98 che prevede la messa a norma delle strutture stesse nel termine massimo di cinque anni, quindi entro il 2003, il Collegio ritiene di "prendere in considerazione la realizzazione di una nuova struttura ed allo scopo è stata effettuata la ricerca di aree che potessero eventualmente prestarsi alla realizzazione del nuovo Ospedale della città di Como e della Provincia comasca". Seguono considerazioni sulla dimensione, tipologia e localizzazione della struttura, lasciando intuire che sarà fuori Como, visto che per alcune ragioni non documentate è scartata l’ipotesi del San Martino. Tale localizzazione è individuata per una serie di riferimenti in Villa Guardia, in terreno già destinato a cava e discarica, di proprietà del Collegio stesso. Segue un’ipotesi di spesa di 300 miliardi con le modalità di finanziamento. Il documento è sconcertante perché, fra l’altro, non tiene in alcuna considerazione l’ipotesi di costruzione in loco del nuovo Ospedale.

Nonostante si tratti di una semplice "noterella", ottiene l’effetto desiderato e il Direttore Generale dott. Navone con delibera n. 398 del 15 settembre ’99, considerato che "la ristrutturazione dell’attuale sede di Presidio comporterebbe, anche in considerazione dell’arco temporale entro cui dovrebbero concludersi (quattro anni), una necessaria e consistente contrazione dei livelli di attività, con le conseguenze facilmente ipotizzabili sul piano gestionale", dopo aver espresso, in una paginetta, le ragioni che portano alla costruzione di una nuova struttura "visto che sui documenti programmatici dell’Azienda si sono succeduti sugli organi di stampa e televisivi numerosi qualificati interventi (…), pressoché unanimi nel testimoniare la necessità di pervenire alla realizzazione del nuovo Ospedale, visto che il Collegio delle Imprese Edili ha rassegnato una bozza tecnico – programmatica, considerato che nel mese di giugno ’99 erano state inviate alla Regione alcune schede di fattibilità del nuovo Ospedale", decide per la costruzione della nuova struttura utilizzando lo strumento del cosiddetto "project financing" per reperire parte dei fondi necessari, senza una disamina dei vantaggi e svantaggi dell’operazione. Delibera inoltre di far attivare le procedure per la scelta del promoter fissando la data del 29 ottobre 1999 per la presentazione delle proposte e quello del 15 novembre per la valutazione delle proposte pervenute.

Quando si dice la potenza della stampa e della televisione e del privato. Non si fa cenno alla costituzione di un accordo di programma fra Azienda, Regione, Comune e Ministero della Sanità, unica scelta possibile. La televisione fa il miracolo. Alla delibera sono allegate le schede sulla fattibilità del nuovo Ospedale Sant’Anna in cui si indica la sede della struttura in Villa Guardia (5 a facciata) con la motivazione "non avendo disponibili aree libere sul territorio di Como" e si aggiunge che "nel corso dell’ampio dibattito cittadino da parte dell’Amministrazione di Como (quale?) non sono state prese posizioni pregiudizievoli, da parte del Comune di Villa Guardia invece è stato già espresso un parere di massima favorevole."

E’ semplicemente paradossale l’adozione, come giustificazione, del silenzio – assenso del Comune di Como neppure interpellato. Nelle schede il costo è previsto in 330 miliardi da coprire con 20 miliardi di dismissioni immobiliari, 10 miliardi di donazioni liberali, 100 miliardi (che poi sono meno) stanziati dalla legge n. 67/88, 150 miliardi dal promoter del project financing, 50 miliardi dalla vendita dell’area di Camerlata. Il tutto senza documentare, se non genericamente, la remunerazione del project financing e il valore dell’area su cui insiste il Sant’Anna, indisponibile per legge e vincolata dal PRUG a destinazione di servizi sanitari. L’unica pezza giustificativa, ma non documentata per deliberare il trasferimento dell’Ospedale a Villa Guardia, è uno studio sull’attività di ricovero e delle prestazioni nell’ambito territoriale dell’ASL. Si conferma indirettamente che l’espulsione del Sant’Anna dalla città favorirebbe l’Ospedale accreditato Valduce che con nuove concessioni la Regione Lombardia rafforza, confermando la sua politica a favore dei privati.

Con delibera n. 479 del 10 novembre ‘99 il termine per la valutazione delle offerte dei promotori è rinviato al 15 dicembre ’99. Due sono le domande pervenute nei termini: quella del Consorzio Prospecta di Como (Collegio delle Imprese Edili di Como) e quella della ditta Astaldi di Roma. La scelta dell’Azienda cade sull’Astaldi, collegata con la società "La Cascina" di Roma della Compagnia delle Opere. Segue il ricorso della Prospecta al TAR, che però è respinto.

Nel frattempo, sollecitata da alcuni partiti politici con lettera del 17 novembre ’99 (Paco, DS, PRC, PPI, PdCI, Democratici), dalle associazioni ASVAP e LILA e dal sindacato FP – CGIL, l’Amministrazione Provinciale si muove e rivendica il proprio ruolo di presentare la scelta della sede e predispone nell’aprile 2000 uno studio di valutazione delle proposte di localizzazione del nuovo Ospedale Sant’Anna, in cui prende in considerazione l’area di Cassina Rizzardi, di proprietà della Provincia, e l’area di Villa Guardia. Con delibera del 26 luglio 2000, il Consiglio Provinciale di Como approva a maggioranza gli indirizzi per la stesura dell’accordo di programma per il nuovo Ospedale e al punto 5 individua per la sua realizzazione l’area del san Martino di Como e al punto 5 bis chiede il finanziamento pubblico dell’opera senza il ricorso al project financing.

Il Consiglio comunale di Como dal canto suo, nel mese di luglio, approva una mozione per mantenere in Como la nuova costruzione del sant’Anna e il Sindaco Botta esprime il parere di realizzare la riedificazione dell’Ospedale sull’area di Camerlata, anche perché il consigliere architetto Terragni ha predisposto uno studio di fattibilità su tale area. Il 23 dicembre i partiti del centrosinistra protestano davanti all’Ospedale per chiedere una rapida decisione sulla localizzazione della nuova struttura e sulla sottoscrizione dell’accordo di programma, poiché il Presidente della Provincia Selva ha convenuto, nelle settimane precedenti, con la tesi del Sindaco di riedificare a Camerlata il nuovo Ospedale.

Il 19 febbraio 2001 il Sindaco di Como, disattendendo il parere del Consiglio comunale e senza interpellarlo, sottoscrive con l’assessore Borsani una bozza di intesa per realizzare a Villa Guardia una struttura "per acuti" e per mantenere a Camerlata ambulatori e laboratori, utilizzando parte dell’area per edificare una R.S.A. e gli uffici dell’ASL. In compenso la Regione acquisirebbe dalle sue aziende l’area del San Martino e la passerebbe al Comune come sede di un campus universitario. Il 26 febbraio inizia in Consiglio comunale un dibattito su di una mozione, presentata dalle opposizioni, di censura al Sindaco con richiesta di revoca della firma sulla bozza d’intesa. La mozione, dopo un lungo dibattito, è respinta. Le trattative con la Regione non proseguono. La pratica è ferma.

La storia è triste e testimonia come la dirigenza del Sant’Anna, la Giunta Regionale lombarda e la maggioranza di centrodestra del Comune di Como siano incapaci, sprezzanti verso l’elettorato, prive di spirito democratico, incoerenti e pasticcione. In una democrazia corretta sarebbero sostituite o meglio, per dirla con Bossi, mandate a zappare.

(l.f)

 

 

 

 

 


Ridurre, alleggerire, destrutturare

Articolo 32 della Costituzione italiana:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività "

La Legge 833 del 1978 ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) sancendo il principio costituzionale previsto dall’art.32. La spesa è coperta dalla fiscalità generale che permette un sistema solidaristico uguale per ogni cittadino su tutto il territorio nazionale. L’attuazione di questa prima riforma ha permesso degli ottimi risultati nel rapporto tra efficacia delle cure ed efficienza in termini economici, portando il SSN italiano al secondo posto nel mondo (valutazione Organizzazione Mondiale della Sanità), pur mantenendo, però, in essere differenze fra le varie regioni. Negli anni 90 i due decreti legislativi De Lorenzo 502/92 e Garavaglia 517/93 si sono sovrapposti alla legge 833 determinando importanti modifiche normative, la più incisiva delle quali è la cosiddetta "aziendalizzazione" che ha provocato:

Uno. La nascita delle aziende Ospedaliere e delle aziende USL (poi denominate ASL)

Due. La nomina dei direttori generali

Tre. Il vincolo del pareggio di bilancio

Quattro. L’introduzione dei "DRG"Diagnosis Related Groups (raggruppamenti omogenei di diagnosi, cioè il pagamento "a prestazione" differenziato).

Tutto ciò ha determinato un ribaltamento del concetto di diritto alla Salute privilegiando il ritorno economico ottenuto attraverso il pagamento delle prestazioni più remunerative, cercando di contenere i "costi di produzione".

Si vuole sottolineare, inoltre, che questo nuovo modello manageriale (che prevede il Direttore generale come "organo monocratico") elude qualsiasi controllo da parte della cittadinanza facendo sì che egli risponda solo ed esclusivamente alla giunta regionale da cui riceve il mandato. Inoltre, non ha favorito la partecipazione alle decisioni da parte dei cittadini e dei lavoratori.

Fino alla seconda riforma del 1992 (entrata in vigore il 1 gennaio 1995), il finanziamento dell’attività sanitaria si basava sulla spesa storica e prevedeva il ripianamento a "pie’ di lista" delle spese eccedenti mentre l’unità di misura delle prestazioni Ospedaliere era il numero di giornate di degenza. Oggi, invece, per ogni patologia è previsto un determinato numero di giorni di degenza cui corrisponde un importo economico (DRG). Aumentando i giorni di degenza, l’importo subisce gravi decurtazioni. Si è così passati da degenze estremamente lunghe e a volte ingiustificate a degenze brevi che hanno determinato, spesso, dimissioni selvagge. Anche per quanto riguarda le prestazioni ambulatoriali vi possono essere differenze fra tariffe e costi reali delle prestazioni: queste possono essere effettuate con standard di buon livello oppure comprimendo eccessivamente tempi di esecuzione ed economizzando sulle attrezzature. Ciononostante l’attuale sistema di parcellizzazione delle prestazioni consente di moltiplicare i costi di "un’unica" prestazione. La linea di tendenza attuale è quella di ridurre massivamente l’ospedalizzazione senza tenere conto delle reali esigenze di salute. I DRG, a loro volta, prevedono delle differenziazioni remunerative secondo le patologie cui si riferiscono.

Di qui la scelta dei privati di privilegiare un certo tipo di attività a discapito di altre mentre il settore pubblico, al contrario, è obbligato a rispondere ad ogni richiesta di cura e prevenzione (ad esempio la "lungodegenza" per i pazienti anziani e cronici che non è particolarmente remunerativa). Si è anche introdotto un nuovo sistema per il trasferimento dei fondi dalla Regione alle aziende locali che modifica il precedente convenzionamento: "l’accreditamento". Infatti, in precedenza, i pazienti venivano indirizzati verso case di cura o laboratori privati solo se la struttura pubblica non era in grado di far fronte a tutte le domande di prestazioni; ora, invece, le strutture private una volta ottenuto l’accreditamento, sono equiparate a quelle pubbliche e i cittadini possono accedervi senza autorizzazione.

Questo è il quadro che si è venuto a creare nella nostra regione con l’applicazione della legge regionale 31/97 (grazie alla giunta Formigoni) che estremizza i concetti di "aziendalizzazione" e mercificazione della salute e il concetto di sussidiarietà del privato nei confronti degli organismi pubblici (peraltro sollecitato anche a livello nazionale). Le ASL, infatti, sono state sempre più esautorate del loro ruolo di controllo (del principio di appropriatezza delle cure e, di conseguenza, della spesa) e relegate ad una mera funzione di "enti pagatori" delle prestazioni eseguite. Attraverso, poi, l’introduzione del principio della libera concorrenza si è esistito ad una crescita esponenziale della spesa sanitaria (per i noti meccanismi di mercato) favorita anche dalla mancanza di qualsiasi elemento di programmazione (che dovrebbe evitare, invece, che questo avvenga). La regione Lombardia, infatti, non ha alcun Piano Sanitario Regionale; da ciò deriva la ventata "liberistica" che si basa su queste argomentazioni. Per i servizi di prevenzione (importantissimi anche nel campo della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, soprattutto in una realtà produttiva come quella lombarda caratterizzata da tanti infortuni e malattie professionali) sono quelli - non a caso - maggiormente penalizzati dal riordino formigoniano. Basti pensare che la Regione Lombardia spende per i servizi di prevenzione soltanto il 2,4% del Fondo sanitario regionale anziché il 5% previsto dal Piano sanitario nazionale.

L’equazione risultante sarebbe: diminuire i malati con la prevenzione significa ridurre i clienti.

Se da un lato, la riforma sanitaria 229/99 (riforma Bindi) rimette al centro il diritto alla salute e non il pareggio di bilancio, ridando il giusto peso ad alcuni elementi fondamentali per la salvaguardia della Salute stessa attraverso l’iter prevenzione - diagnosi e cura (attraverso questa normativa, i comuni recuperano in parte il loro ruolo sia nella pianificazione sia nel controllo dei servizi sanitari; inoltre i sindaci possono valutare l’operato dei direttori generali della ASL e, se il caso, proporre la loro revoca alla giunta regionale), dall’altro lato le forme di compartecipazione pubblico - privato servono a selezionare le prestazioni che determinano i costi minori e i maggiori guadagni.

Su questo principio si attesta l’aumento della spesa sanitaria delle strutture private che in quattro anni è passata dal 20% al 30% con punte del 40% nella città di Milano e oltre 2000 posti letto in più accreditati ai privati a decremento nel pubblico di alcune migliaia: "Più Stato a pagare e più privato ad usare denaro pubblico". L’obiettivo della Regione Lombardia di tenere sotto controllo i costi è totalmente fallito, secondo i dati di seguito riportati, e, inoltre, si nota come la gran parte del denaro pubblico sia scivolata nelle mani del settore sanitario privato. Si sono privatizzati i guadagni e si sono collettivizzate le spese.

Nonostante questo vogliamo rilevare che la spesa sanitaria nazionale è sottostimata rispetto agli altri paesi europei: In Italia, infatti, si spende il 5,7% sul PIL, ben 2 punti in meno rispetto a Francia e Germania.

1994

e precedenti

1995 1996 1997 1998 1999 Totale a tutto il 1999
229 MLD 299 MLD 835 MLD 1489 MLD 1101 MLD 1513 MLD 5466 MLD

Dati Regione Lombardia –Direzione Generale Sanità

Al centro dell’aspro scontro fra i due modelli Bindi e Formigoni c’è che l’applicazione della riforma 229/99 bloccherebbe la possibilità di trasformare in SpA a prevalente capitale privato le strutture sanitarie pubbliche. Il cuore di tale politica regionale riversata sul territorio comasco è l’utilizzo dell’esperimento economico-politico denominato project financing consistente in 200 miliardi di investimenti privati per l’edificazione di una nuova struttura Ospedaliera che dovranno essere restituiti, con gli interessi, in 19 anni. Le polemiche fin ora hanno riguardato solo l’aspetto della localizzazione.

Secondo noi questo è un effetto secondario della politica sanitaria nazionale e, quindi, regionale. Non vogliamo, però, dimenticare che la delocalizzazione di una struttura Ospedaliera pubblica del livello dell’Ospedale Sant’Anna in periferia permetterà un incremento delle strutture private già esistenti favorendo soprattutto le classi medio-alte che abitano il territorio circostante. Inoltre, sia una marginalizzazione territoriale che la superspecializzazione del Sant’Anna risponde sempre agli stessi bisogni delle classi medio-alte ignorando le richieste delle classi più deboli sia dal punto di vista della domanda sanitaria essenziale non programmabile (pronto soccorso, rianimazione, chirurgia e reparti di urgenza, ma anche reparti di medicina generale) sia per le oggettive difficoltà di raggiungimento del nuovo Ospedale.

Tutto ciò comporta una penalizzazione dei reali e primari bisogni del cittadino sia da parte del polo superspecialistico pubblico sia del polo sanitario cittadino privato. Detto questo, non si vuole tralasciare il fatto che la delocalizzazione è fortemente legata all’ingresso dei privati nella gestione dei servizi ospedalieri (project financing). L’ingresso dei privati nella gestione dei servizi ospedalieri produrrà un incremento esponenziale della logica della mercificazione: è chiaro che l’esternalizzazione dei servizi produrrà una maggiore attenzione alla quota di utile piuttosto che alla qualità degli stessi (si potrà guadagnare riducendo in qualità e sul costo del lavoro). L’esternalizzazione è anche probabile che non si fermi ai soli servizi non sanitari. Già oggi la carenza di personale infermieristico spinge qualcuno a parlare dell’introduzione di lavoratori interinali dimenticandosi dell’importanza della qualità relativamente al delicato aspetto dell’assistenza infermieristica. La volontà della Giunta regionale è di non investire in questa direzione probabilmente perché l’intendimento è quello di spingere l’organizzazione anche in questo campo verso studi associati privati di infermieri o cooperative (magari gestite dalla Compagnia delle Opere) piuttosto che assumere personale pubblico a contratto a tempo indeterminato. Vi sono già ulteriori "esperimenti" di privatizzazione di interi reparti dove ritroviamo i grandi capitali nella loro gestione diretta. Inoltre, sempre a causa del risarcimento del debito ai privati (oltre alle esternalizzazioni la quota che dovrà ripianare l’amministrazione Ospedaliera dalle proprie casse è di circa 18 miliardi annui), si tenderà a considerare solo alcuni tipi di patologie, le più remunerative: iper specializzazione e caccia ai ricoveri di pazienti con patologie acute. La struttura sarà incentrata non sul malato ma sulla patologia.

(dal "Piano di fattibilità del nuovo Ospedale – settembre 1999 direzione generale Azienda Ospedaliera Sant’Anna":

"… Quanto [al rimborso ai privati di ] 150 miliardi, [saranno] derivanti in parte da rimborsi periodici che l’azienda riconoscerà in base alle prestazioni sanitarie erogate (quota dei ricavi dell’ Azienda per DRG e prestazioni ambulatoriali)…").

Da una più approfondita analisi delle dinamiche attualmente in corso all’interno della azienda Ospedaliera emerge che la distribuzione delle risorse economiche ha come obiettivo l’incremento della attività libero-professionale intra-muraria, principalmente medica, e delle camere di degenza private a pagamento. Tutto ciò può essere assolto solo da una nuova struttura come quella prefigurata dal project financing. Sancendo in questo modo la mercificazione della salute. Ci chiediamo quale sarà il futuro delle strutture e dei servizi territoriali se le risorse economiche ed umane aziendali saranno assorbite dall’immane progetto. Come potrà essere concretizzata l’idea di una cittadella sanitaria se mancano i fondi economici per la stessa nuova struttura? Il principio liberista che sta avanzando a livello nazionale in cui si inscrive particolarmente la realtà sanitaria comasca merita ulteriori riflessioni: i piani di politica sanitari nazionali e regionali non rispondono più alle reali esigenze di salute dei cittadini, ma sono fortemente condizionati dalla logica del mercato del profitto internazionale. I beneficiari di questa speculazione economica, tra cui primeggiano le multinazionali farmaceutiche, gli organismi di ricerca e le assicurazioni, sono i "poteri forti" che, per un preciso interesse economico e non sociale, decidono di spostare i propri capitali investendo nella mercificazione dei "bisogni di salute".

Parallelamente, per rispondere ai "bisogni di salute" delle classi medio basse, si sta sviluppando il cosiddetto "terzo settore" costituito dalle associazioni di volontariato (no profit) e dal sistema cooperativistico. La scelta politica è quella di rinunciare a garantire il diritto di salute per tutti cittadini e di delegare attraverso cospicui finanziamenti questo compito al "terzo settore", settore che basa la propria attività sul creare profitto al minimo costo (in questo modo lo Stato non esercita più il controllo della efficacia e della appropriatezza e della economicità delle prestazioni sanitarie).

Lo scadimento del sistema di cura va parallelamente al peggioramento delle condizioni dei lavoratori che devono assoggettarsi alla logica speculativa e di sfruttamento economico da cui gli imperativi di maggiore produttività a basso costo, recepiti peraltro dai contratti di lavoro nazionali e locali. Non solo: tale logica inserita in una dinamica che tiene presente la competitività totale tra settore pubblico e privato, elemento in realtà drogato e non reale, accentua le difficoltà vissute dai lavoratori (per esempio attraverso la carenza di personale che rende sempre più difficile un sereno svolgimento delle attività producendo un monte ore lavorativo giocato soprattutto sulle ore di lavoro straordinario e sulla stanchezza dei lavoratori) inducendo agli stessi lavoratori una richiesta di riorganizzazione in senso riduttivo dei servizi che solitamente viene effettuata dalle direzioni sanitarie con una cancellazione dei servizi utili, ma non remunerativi – come medicine, geriatrie, servizi psichiatrici, consultori, eccetera - poiché non rispondenti al modello consumistico sintetizzato come "supermarket della salute" (non a caso sono previsti negozi, ristoranti e parcheggi a pagamento nel "nuovo modello di Ospedale").

La concorrenza e la destrutturazione porta inoltre a fare in modo che anche all’interno delle strutture pubbliche la deregolamentazione e parcellizzazione contrattuale privatistica prenda il sopravvento suddividendo i lavoratori e minando richieste riguardanti le coperture sociali garantite dai contratti collettivi nazionali di lavoro (assistenza, previdenza, occupazione stabile e orario di lavoro) riducendole a richieste meramente di tipo salariale settoriale o corporative. In sintesi, attraverso il sistema misto pubblico - privato, la concorrenza determina una legge di mercato che impone al sistema pubblico un depauperamento a danno del lavoratore delle norme contrattuali conquistate negli ultimi trenta anni. Perciò il massimo profitto al minor costo determina disuguaglianze salariali sintetizzate in contratti capestro nei quali i lavoratori assumeranno sempre più il ruolo di comparse flessibili e senza più garanzia del posto di lavoro stesso (appalti a ditte esterne secondo quanto previsto dalle normative nazionali e regionali). Fino all’estinzione del sistema pubblico.

Conseguentemente, la risposta a questa diffusa sensazione di non possedere quasi più alcuna tutela e la continua disgregazione dello stato sociale a tutti i livelli spinge, se non arginata, i cittadini ed i lavoratori alla atomizzazione, all’estremo individualismo favorendo il ricorso a soluzioni che tutelino, fintamente, il singolo individuo spingendolo ad investire i propri risparmi in queste grosse operazioni finanziarie individuate dalle grandi compagnie di assicurazioni private che fanno leva sul sentimento di paura della perdita dei diritti del soggetto. Questi aspetti favoriranno sempre più la cancellazione dei concetti del diritto allo stato sociale e di solidarietà. Il ricorso a polizze di varia natura (sanitarie, previdenziali,…) sottendono la minimizzazione del rischio da parte delle compagnie assicurative e contribuiranno, in futuro, ad una suddivisione della popolazione, ancora una volta, in base alle potenzialità economiche del singolo marginalizzando tutti coloro i quali non dispongono delle caratteristiche economico-sociali e di salute atte a poterle salvaguardare in un meccanismo competitivo (i livelli dei premi assicurativi sanitari per categorie particolari – cronici, tumorali, terminali – raggiungeranno soglie talmente elevate da essere praticamente appannaggio di pochissime persone). Negando, in questo modo, il principio di diritto alla salute universale e gratuito.

Un’eventuale nascita di un sistema sanitario misto pubblico - privato non più sostenuto dalla fiscalità generale – peraltro già tracciato – (che produrrà la nascita di due livelli ben differenziati di sanità: una per chi possiede un’elevata capacità economica e una per chi non raggiunge tale soglia, sostenuta da interventi dello stato minimi che non saranno certo sufficienti per mantenere un livello qualitativo adeguato di cure) scatenerà conseguenze già note: negli Stati Uniti un’importante fetta della popolazione non ha stipulato (a causa dei costi) alcuna polizza sanitaria confidando nella propria buona salute. Una sorta di irresponsabilità sociale. Ciò ha determinato, per esempio, il fatto che la quarta causa di bancarotta fosse nel 1999 proprio dovuta al pagamento di cure mediche. L’abbandono delle polizze assicurative è dovuto anche al fatto che i premi aumentano molto più velocemente dei redditi, grazie anche alla forte flessibilità del mercato del lavoro.

La richiesta di interventi sanitari di alta specializzazione proviene dalle classi sociali più elevate che vedono nel SSN un ostacolo burocratico alla loro domanda di consumo e spingono verso la generalizzazione del sistema assicurativo in quanto, così facendo, la loro libertà di scelta non potrà più incontrare limiti imposti da organi istituzionali che dovrebbero avere il compito di rilevare l’appropriatezza e l’economicità di alcuni interventi a discapito di altri. Inutile sottolineare che questo atteggiamento incontra ed è incoraggiato dalle industrie multinazionali farmaceutiche e di tecnica medica. Si sviluppano così due indicativi atteggiamenti da parte della popolazione già rilevati da diversi epidemiologi: un aumento di piccoli interventi a volte non utili per le classi sociali più deboli e un incremento di prestazioni, alcune di dubbia utilità, tecnologicamente avanzate per le classi più abbienti. Questa divisione fra classi è così vera che addirittura lo stesso ministero della sanità dedica a questo argomento una parte del nuovo piano sanitario nazionale 2001-2003.

(RSU Sant’Anna)


Dal Piano Sanitario Nazionale 2001-2003: Ridurre

le disuguaglianze e rafforzare la tutela dei soggetti deboli

In Italia le disuguaglianze sociali hanno un impatto sulla salute tale da spiegare quote significative (almeno il 10%) della mortalità e della morbosità nella popolazione. Si tratta di un indicatore importante della disomogeneità nella erogazione dei servizi e della differenza di accessibilità alle strutture. Non va trascurata, inoltre, l'influenza che le relazioni sociali e lo status socio-economico del soggetto assistito esercitano su tale variabile.

In tal senso gli svantaggi nella salute spesso si accompagnano a disuguaglianze nell'accesso all'assistenza sanitaria che si ripercuotono soprattutto sui soggetti deboli. Negli ultimi anni i problemi sono più evidenti per alcuni gruppi di popolazione, soprattutto quelli indicati all'art. 3 septies, comma 4, del d.lgs. n. 229/1999 e cioè bambini e adolescenti, anziani, persone disabili, persone con patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcol e farmaci, persone con patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative.

Fra i determinanti non sanitari che spiegano le differenze, hanno un rilievo particolare l'istruzione, l'occupazione, la sicurezza sociale, il reddito, le condizioni abitative, le politiche ambientali.

Le principali cause delle disuguaglianze nella salute non sono, quindi, sanitarie e sono legate agli svantaggi nelle condizioni materiali e psicosociali di vita che si accumulano lungo il percorso biografico. (…)

Da questi svantaggi scaturiscono differenze sociali nella distribuzione dei fattori di rischio e che sono riconoscibili anche negli stili di vita pericolosi per la salute, nello stress, nell'esposizione ai fattori inquinanti, nell'esposizione ai rischi per la sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro.

Di fronte alla malattia le persone più svantaggiate incontrano difficoltà a ricevere una diagnosi tempestiva, cure appropriate ed efficaci, assistenza di base, specialistica ed Ospedaliera e più in generale risposte che richiedono nuove tecnologie.

Ci sono inoltre evidenze che, a parità di accesso a servizi efficaci ed appropriati, le persone maggiormente svantaggiate ottengono risposte con minore efficacia di quella richiesta.

La normativa nazionale ha inoltre definito recentemente la costituzione dei fondi sanitari regionali (che varieranno giocoforza fra regione e regione riproducendone le differenze economiche) addirittura eliminando il vincolo di bilancio delle quote residue provenienti dallo stato a favore della sanità. Se una regione riterrà di avere altre priorità quei fondi potranno essere immediatamente stornati per altri fini. Si chiede con forza da varie parti che si delineino dei livelli essenziali di assistenza (LEA) per ovviare a questo processo degenerativo.

La costituzione del federalismo fiscale e del fondo sanitario regionale differenziato contribuirà, infatti, in modo pesante, ad una divaricazione fra le varie regioni nella erogazione di adeguate prestazioni sanitarie fra regioni ricche e regioni povere rendendo impossibile una loro omogeneità sul territorio nazionale incrementando i viaggi della speranza.

Le tre parole d’ordine ridurre, alleggerire e destrutturare riguardano non solo l’ambito sanitario ma tutto ciò che concerne lo stato sociale e di conseguenza significano il tentativo di distruzione delle conquiste dei diritti dei singoli cittadini. Crediamo sia indispensabile arginare la marea liberistica montante che riconosce in questi tre fini il suo obiettivo primario.

(RSU Sant’Anna)


La localizzazione a Villa Guardia

Una Storia. "Nel gennaio’97, quando non erano stati ancora appaltati i lavori per la ristrutturazione del monoblocco (20 miliardi più IVA), il ministro della Sanità Rosi Bindi firma un decreto che fissa nuove norme per accreditare gli Ospedali al Servizio sanitario nazionale. Il Sant’Anna, ampiamente fuori norma, punta tutte le sue carte sul "Progetto Osare", ideato nel ’96 da Franco Riboldi e Carla Dotti, che prevede un investimento di circa 123 miliardi. Finalmente, nel gennaio 1998, partono i lavori. Ma in autunno si viene a sapere che il titolare dell’impresa – la "Cgp" di Milano – è messo sotto inchiesta dalla Procura di Catania. La ditta fallisce pochi mesi dopo.

Nel secondo semestre del 1998 i manager Franco Navone e Renato Colombo scoprono "che per accreditare il Sant’Anna servivano almeno 150 miliardi". Colombo racconta: "Ci siamo arrampicati sui vetri per capire come si poteva completare la messa a norma in cinque anni". La ristrutturazione sarebbe stata sì possibile, ma avrebbe richiesto 11 anni, più del doppio dei tempi di legge. Tra maggio e giugno ’98 si profila la non riconferma dei 76 miliardi già stanziati per la prima fase del "Progetto Osare". I manager convincono l’assessorato alla Sanità che non esiste alternativa al nuovo presidio. Ma bisognava dirlo alla città.

L’11 giugno Franco Navone, ad una conviviale dei Rotary comaschi, lancia l’allarme: "L’Ospedale non regge più". A fine ottobre il direttore sanitario Roberto Antinozzi annuncia di aver commissionato un’indagine di fattibilità a un pool di professionisti: è la verifica che il Collegio delle imprese edili consegnerà ai primi di aprile di quest’anno." (La Provincia, 3/11/99, a firma Vera Fisogni).

 

 

Un'Intervista. "Perché il Consorzio comense Inerti ha proposto l’area di Villa Guardia come possibile sede dell’Ospedale nuovo?

Perché la conoscevamo bene. E’ parsa una collocazione ideale per l’Ospedale, anzitutto per un discorso di infrastrutture. La cava è vicinissima all’autostrada, può essere raccordata alle Ferrovie Nord ripristinando per un tratto di circa 2 km la sede ferroviaria Como – Varese. A favorire ulteriori collegamenti con la città sarà la tangenziale di Como.

(…)

I privati regalano terreni, si danno da fare per aiutare l’Ospedale. Difficile credere che siano mossi da pura e semplice generosità.

Il nostro interesse è lo stesso di chi sottoscrive le azioni Acsm: compra le azioni di casa e, nel contempo, guadagna." (La Provincia, 2/11/99, intervista a Sergio Pozzi, presidente del Collegio delle imprese edili e del Consorzio comense inerti.)

Una Statistica. "Ecco qualche anticipazione significativa (sui flussi dei ricoveri): tra i ricoverati residenti fuori città (70%) una fetta pari al 30% giunge da Olgiate e comprensorio; mentre una quota oscillante tra il 5 e 10% arriva da "fuori provincia e fuori regione" (La Provincia, 22/11/99, a firma Fisogni).

Uno Spostamento. "In sostanza la regione Lombardia ci ha detto che all’interno del piano (provinciale) cave non sarebbe stato possibile intervenire in tempi brevi (…). Di conseguenza, visti i tempi stretti, abbiamo individuato quest’area leggermente più a nord e decisamente più bella." (La Provincia, 14/2/00, intervista al sindaco di Villa Guardia).

Una Decisione. "Prima di pronunciarsi sulla localizzazione del nuovo Ospedale, l’Amministrazione provinciale intende valutare - una ad una – le ipotesi finora formulate: quelle storiche di Villa Guardia e Cassina Rizzardi, ma pure quelle relative all’ex manicomio San Martino e ad Olgiate (l’area di Lazzago, invece, risulta sottodimensionata). Lo hanno deciso le tre commissioni consiliari di sanità, Territorio e Patrimonio, convocate in seduta comune ieri sera a Villa Saporiti, alla presenza del presidente (…). (La Provincia, 14/2/00, a firma Fisogni).

Una Dichiarazione. Il sindaco di Como, Alberto Botta "formula (…) l’auspicio che la nuova struttura sia edificata il più vicino possibile alla città".(La Provincia, 21/3/00, a firma Fisogni).

Cinque Ipotesi. "Villa Guardia, in caso di trasloco del Sant’Anna, risulta l’ipotesi più accreditata (…) ma questo non toglie che"trasferire l’Ospedale penalizza la città". Lo ha dichiarato l’architetto Giuseppe Cosenza (…) illustrando la relazione tecnica sulle cinque possibili ubicazioni del nuovo presidio (oltre a Villa Guardia, Cassina Rizzardi, Lazzago, Olgiate, ex psichiatrico)." (La Provincia, 20/5/00, a firma Fisogni).

 


Ipotesi per la nuova collocazione

dell’Ospedale Sant’Anna di Como

La proposta riguardante la possibile collocazione dell’Ospedale Sant’Anna di Como nell’area attualmente libera o semi dismessa, area compresa nel perimetro della proprietà dell’azienda e con destinazione urbanistica a funzione Ospedaliera nel piano regolatore vigente e in quello in corso di approvazione da parte degli organi della Regione Lombardia, fa parte di un disegno più ampio e finalizzato al progetto non di un singolo Ospedale, ma di un sistema progettuale che permetta, attraverso meccanismi di combinazione, sostituzione e permutazione, la realizzazione di unità Ospedaliere di diversa dimensione con elementi il più possibili uguali e prodotti in serie dalla tecnologia del mercato edilizio e da quello dei componenti.

Di che cosa si tratta? Di formulare ipotesi progettuali e operative che possano trovare una possibile realizzazione in aree di diversa forma, dimensione e profilo altimetrico, con la semplice aggiunta di elementi costruttivi ed impiantistici molto semplici, molto simili fra di loro e relativamente economici. È un sistema innovativo per l’industria edilizia? Sì, che dovrebbe fornire un prodotto molto simile a quello dell’industria automobilistica. Perché questo paragone? Il sistema dell’auto ha dimostrato che i concetti di quantità e qualità finiscono per coincidere. Da quando si è incominciato a studiare questa possibilità? Gli studi prendono avvio circa tre anni or sono. Non è molto. Tre anni or sono si sono manifestati nel nostro Paese almeno due fatti nuovi destinati ad incidere significativamente nella vicenda della progettazione, dell’esecuzione e della successiva gestione degli organismi Ospedalieri. Quali sono? La legge sui lavori pubblici più comunemente conosciuta come Legge Merloni-Ter e i bandi di concorso, per la progettazione degli organismi Ospedalieri, che le varie aziende Ospedaliere iniziavano ad emettere.

 


La Legge Merloni-Ter

La nuova Legge sui lavori pubblici, a quel tempo in dirittura di arrivo è oggi Legge dello Stato pienamente operante, è una Legge che ha avuto un iter sofferto, faticoso e non sempre lineare, tanto che diventò Legge alla terza stesura dopo che le prime due furono abbandonate. È una legge importante? Certamente, ma non è una Legge perfetta. È uno strumento che cerca di mettere ordine in quella "corte dei miracoli" che da sempre è il campo dei lavori pubblici in Italia. In che senso? Cercando di eliminare le due storture principali che per decenni hanno deteriorato i campi specifici d’intervento. Le elenchiamo? L’aumento esponenziale dei costi delle opere. Inoltre? I ritardi dei tempi di consegna.

Le carenze normative del passato, che cosa avevano procurato? Uno spreco di migliaia di miliardi e la fornitura in tempi biblici di strutture spesso indispensabili alla collettività. Cosa pretende la legge? L’approfondimento progettuale. Per l’intervento edilizio pubblico si tratta di tre fasi. Prima fase. Il Progetto di massima, il Progetto definito ed il Progetto esecutivo. Si può spiegare? Mentre per le prime due fasi sono possibili modifiche, varianti progettuali ed assestamenti economici, la terza fase quella della progettazione esecutiva, quella che otterrà il finanziamento pubblico, non può più essere variata se non in presenza di eventi eccezionali (conflitti, terremoti, inondazioni). Che consente? Un progetto esecutivo elaborato in tutti i dettagli, permette di rispettare i costi ed i tempi. Senza le solite varianti? Non vi saranno più pretesti per varianti in corso d’opera, per perizie suppletive e per sospensioni di lavori. E per chi non rispetta i contratti? Vi saranno persino cospicue penali: non solo per l’esecutore dell’opera, ma anche per il progettista. Valutate in che modo? Secondo le difformità esecutive o le mancanze progettuali. Non piacerà a tutti. Farà molto piacere ai progettisti ed agli esecutori corretti, quelli che saranno indicati dal mercato delle gare a parità di regole.

Passiamo alla seconda fase. Si tratta dei concorsi per la progettazione di unità Ospedaliere che in quegli anni cominciavano ad essere banditi in tutto il Paese. Che cosa avvenne? Osservando attentamente quei bandi di concorso ci si rese conto che la progettazione di un’unità Ospedaliera doveva essere completamente rivista rispetto al passato. Come mai? Forse per la prima volta, erano stati elaborati anche con la collaborazione delle strutture sanitarie interne ad ogni Azienda, nei due rami amministrativo e sanitario, ed impostata su alcuni parametri comuni a questi organismi in tutto il mondo indipendentemente dalla loro collocazione. Iniziarono i confronti? Si impose una ricerca sulle strutture Ospedaliere più avanzate di tutto il mondo comprese quelle militari nord americane che sembrano essere fra le più efficienti. Si notarono differenze? Oltre le differenze fra i vari Paesi, e dovute principalmente alla collocazione geografica, alla situazione politica, alle risorse economiche, all’avanzamento tecnologico ed agli aspetti organizzativi, queste strutture avevano parametri che quasi tutte possedevano o tendevano a possedere. Ad esempio? La necessità di una separazione funzionale fra le zone di degenza (camere e servizi di piano) e quelle di terapia (pronto soccorso, sale operatorie e ambulatori), separazione dovuta al fatto che i due gruppi presentano un invecchiamento diverso fra loro. Questione di durata del comparto? Infatti mentre si stima che il sistema delle camere di degenza (ovviamente allo standard attuale più elevato) possa avere una vita operativa intorno ai 50 anni, per le sezioni di terapia l’esperienza ha dimostrato che ogni 25 anni si raggiunge obsolescenza totale. Un problema da affrontare subito, in fase di progettazione? È necessario prevedere un organismo nel quale si possa compiere una sostituzione completa di zone di terapia ad invecchiamento più breve, senza interferire nella degenza che è, come si è detto, ad invecchiamento più lungo. E per gli impianti? Le reti di distribuzione dovrebbero essere collocate nel "piano tecnico" dal quale si controlla tutto un sistema impiantistico molto complesso, piano nel quale hanno accesso esclusivamente gli addetti. Ovviamente, vi sarà molta cura per le necessità della manutenzione. Del progetto deve far parte un dettagliato "piano di manutenzione" che preveda sia l’intervento ordinario (breve termine) che quello straordinario (medio e lungo termine) con tempi e modi già predisposti in fase di progettazione prima dell’inizio dei lavori.

 

Infine: la scelta dell'area. Per quello che riguarda la scelta dell’area del nuovo Ospedale, le valutazioni tecniche oggetto di queste osservazioni sono necessarie, ma non sufficienti. Perché? Queste valutazioni tecniche devono essere certamente in sub ordine rispetto a quelle economiche, a quelle organizzative e sopratutto a quelle politiche che in definitiva sono quelle destinate ad operare la sintesi finale di tutti i parametri in gioco. Villa Guardia non li possiede? L’area di Villa Guardia si presenta tecnicamente impeccabile dal momento che offre un’area di grandi dimensioni, di forma regolare e di andamento altimetrico costante. Allora perché contrastarla? Il problema sta nella mancanza di adeguate infrastrutture viarie per garantire all’organismo un’accessibilità facile, scorrevole, frequente ed economica. Potrebbero essere realizzate. Infatti, ma quando? L’assenza di queste opere viarie può rendere inutile o comunque carente l’opera principale (è già successo in altre parti d’Italia). Non sarebbero comunque utilizzate solo dall’Ospedale. Certo. E in ogni caso i costi proporzionale di queste opere rischiano comunque di portare il costo-letto dell’organismo Ospedaliero fuori dal mercato dei costi medi previsti. Meglio restare a Camerlata? La soluzione di Camerlata nell’area attuale, non è un’alternativa alla soluzione di Villa Guardia, ma è semplicemente un’alternativa alla ristrutturazione dell’esistente, con la quale è doveroso fare il confronto. Che significa? Che la soluzione della ristrutturazione dell’esistente, è costosa, lunghissima e poco funzionale. Costosa? Perché sappiamo tutti per esperienza che ormai le ristrutturazioni hanno un costo molto più elevato delle nuove edificazioni tanto più se ciò si effettua in un edificio specialistico. Anche lunghissima? Perché la ristrutturazione dell’esistente dovrebbe essere effettuata intervenendo per piccole parti per non interrompere l’attività di interi reparti. E pure non funzionale? Perché sarebbe difficilissima se non impossibile la ristrutturazione entro volumi già esistenti di un organismo caratterizzato da una elevatissima complessità tecnologica che rende un contenitore adeguato.

A che servono, dunque, queste considerazioni? Non sono finalizzate alla scelta di un’area piuttosto che di un’altra. Ma? Vogliono semplicemente analizzare i pregi e i difetti di ciascuna sotto un profilo tecnico progettuale, lasciando ovviamente il giudizio finale ad altri parametri e soprattutto ad altri soggetti istituzionalmente deputati a tale scopo. Con un suggerimento preciso. Che il prodotto abilitato dovrebbe essere quello, alla luce di tutti i parametri in gioco, che presenta un quoziente più elevato di pregi a fronte di un minor numero di difetti. Una sorta di compromesso? Un compromesso quasi sempre è la caratteristica di un buon progetto.

(e.t.)


Posizione delle opposizioni

Nel recente dibattito sulla futura localizzazione del nuovo Ospedale Sant’Anna, l’atteggiamento delle opposizioni in Consiglio comunale a Como è stato per lungo tempo sostanzialmente di "equidistanza" rispetto alle due soluzioni ventilate: Camerlata o Villa Guardia.

Equidistanza determinata non da un attendismo ipocrita o da un’ incapacità di scelta, ma equidistanza semplicemente caratterizzata dalla mancanza d’informazioni, dati e notizie necessari e sufficienti per assumere una posizione precisa.

Infatti anche all’interno dell’opposizione si erano manifestate almeno due linee di opinione.

Posizione Uno. Da un parte i Popolari, Rifondazione e Paco concordi su Camerlata.

Posizione Due. Dall’altra i Democratici di Sinistra ancora indecisi fra le due possibili localizzazioni.

Ambedue queste posizioni ancorché legittime erano carenti di un supporto tecnico economico ed organizzativo.

Le due localizzazioni, Villa Guardia e Camerlata, appaiono sostanzialmente equivalenti nel senso che presentano la stessa quota di pregi e di difetti.

Quello che lascia perplessi invece è la soluzione mista a metà fra Villa Guardia e Camerlata proposta dagli Organismi Regionali, soluzione questa che presenta moltissimi difetti e pochissimi pregi.

Destano soprattutto perplessità i seguenti punti:

Se anche solo in parte si verificassero queste possibilità il costo sociale ed economico di questi errori verrebbe trasferito non ai nostri figli, ma addirittura ai nostri pronipoti.

(e.t.)

 


Aspetti ambientali

Il documento di valutazione dell’Amministrazione Provinciale di Como (aprile 2000) esamina le localizzazioni diverse da quella attuale secondo un’ampia serie di parametri, nei limiti del possibile. Se ne riferiscono le conclusioni:

 

  1. Non è presa in considerazione – perché esclusa dall’incarico di studio ricevuto dagli uffici – la ricostruzione o ristrutturazione nel luogo in cui si trova attualmente l’Ospedale.
  2. Sono scartate con motivazioni ritenute molto consistenti le collocazioni nell’area San Martino (che dopo qualche mese la Provincia farà propria sulla base di considerazioni di altra natura), nell’area di Lazzago e a Olgiate Comasco.
  3. Le due localizzazioni più idonee (Cassina Rizzardi e Villa Guardia) sono confrontate con esiti diversi sotto vari aspetti:
  1. Bacino di utenza: essendo più di un quarto dell’utenza proveniente da Como ed altrettanta dalle zone Sud ed Est della provincia (Cantù, Mariano, Erba, triangolo Lariano), entrambe le collocazioni esaminate presentano seri inconvenienti; Villa Guardia sarebbe preferibile se i collegamenti viari previsti fossero tutti realizzati.
  2. Elementi paesistico – ambientali: l’area di Cassina Rizzardi è più pregiata di quella di Villa Guardia; il dilemma è dunque se costruire in un luogo più ameno per i degenti e i visitatori oppure preservare l’ambiente di Cassina Rizzardi edificando nel luogo più squallido
  3. Elementi di criticità: in entrambi i casi non vi sono problemi insuperabili, purché le cose siano fatte bene e per tempo; per mitigare l’impatto della nuova costruzione di Cassina Rizzardi si dovrebbero prevedere spese aggiuntive.
  4. Trasporto pubblico: è un disastro comunque, e sarebbero necessari investimenti ingenti in entrambe le ipotesi per consentire agli utenti un agevole accesso con i mezzi pubblici.
  5. Strade: con le strade attuali la situazione è comunque disastrosa; lo è meno per Cassina Rizzardi, ma con la realizzazione di tutti i collegamenti previsti diventerebbe preferibile Villa Guardia.

Come si può notare, il problema più grave è: come andare al nuovo Ospedale? Invece di un servizio pubblico che s’inserisce nel territorio esistente, si propone una struttura che esige di modificare il territorio esistente per essere funzionale. Ma queste modifiche (costruzione di strade, di ferrovie e di tramvie, istituzione di nuove tratte di trasporto pubblico su gomma…) non sono e non saranno mai né nei poteri né nei compiti né nel bilancio dell’Azienda Ospedaliera; i tempi e le modalità della loro realizzazione dipendono da altre istituzioni e soggetti che perseguono i propri scopi senza considerare come priorità assoluta (come invece può essere per un utente) l’accesso all’Ospedale.

(e.p.)

 


Chi decide?

Il D. P. R. n. 616/77 prevede che la titolarità della decisione sulla localizzazione delle strutture sanitarie sia della provincia, fino al riordino delle competenze degli enti territoriali. La legge n. 142/90 fa rientrare le scelte di localizzazione sanitaria nel Piano territoriale di coordinamento, che da molti anni la provincia di Como sta elaborando ma non ha ancora approvato. Tuttavia un orientamento provinciale non potrebbe avere valore se fosse privo di coordinamento con la programmazione regionale, che in materia sanitaria si esplica nel Piano strategico triennale, già elaborato dall’Azienda Ospedaliera ed approvato dalla regione all’inizio del ’99 – e nel quale non si fa cenno alla delocalizzazione dell’Ospedale.

In conclusione, nessuno dei soggetti territorialmente interessati può decidere in solitudine e in modo scoordinato da tutti gli altri. Lo strumento idoneo per valutare e decidere è l’accordo di programma fra tutte le istituzioni interessate, che deve precedere qualsiasi realizzazione operativa.

Oggi l’accordo di programma è reso impossibile, a meno che almeno una delle istituzioni interessate si rimangi le posizioni finora assunte (come ha già fatto il comune di Como) a causa della scelta regionale di operare per mezzo del project financing (mai in passato utilizzato per attività sanitarie) e di individuare un promotore privato (che ha di fatto scelto l’area) prima dell’attivazione di qualsiasi altra procedura.

Studio della provincia - aprile 2000

I compiti e le funzioni affidate alle province sembrano ormai sufficientemente consolidati e nella fattispecie, riguardante la localizzazione di un nuovo Ospedale, si può affermare che tale prerogativa rientra nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, ai sensi della legge n. 142/90 e dalla Legge Regionale n. 1/2000, i cui contenuti devono obbligatoriamente risultare compatibili con la programmazione Regionale.

Riassumendo la decisione di realizzare un nuovo Ospedale spetta, mediante il Piano Strategico dell’Azienda Ospedaliera, alla programmazione Regionale mentre la localizzazione rientra nelle funzioni di pianificazione territoriale affidate alla Provincia.

Tuttavia allo stato attuale, nel caso di Como, siamo in presenza della decisione regionale sulla costruzione di un nuovo Ospedale e in assenza del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale per cui, lo strumento più adatto per concretizzare l’iniziativa, è rappresentato dalla sottoscrizione di un accordo di programma fra le istituzioni interessate in quanto in tal modo viene garantita la valutazione e la risoluzione contestuale di tutte le problematiche di interesse pubblico nonché l’unitarietà dei processi decisionali.

(dal documento "Valutazione delle proposte di localizzazione del nuovo Ospedale Sant’Anna" Amministrazione Provinciale di Como)


Ipotesi sul futuro dell’area

(ex?) Sant’Anna

Da: "Schede costituenti lo studio di fattibilità del nuovo ospedale Sant’Anna" - settembre 1999 - a cura dell’Azienda Ospedaliera Sant’Anna, al capitolo: Patrimonio immobiliare dell‘azienda: "Gli immobili costituenti l‘attuale sede dell‘Ospedale (patrimonio istituzionale) hanno un valore non è inferiore a 50 miliardi". Nello stesso documento si legge che: "L‘Azienda provvederà a conferire incarichi professionali … per la stima asseverata dei valori immobiliari…" Dunque: i 50 miliardi sono frutto di stima e se non arrivassero?

Stesso Capitolo: "Quanto agli immobili attualmente sede dell‘Ospedale, l‘Azienda intende promuovere un Concorso di progettazione – finalizzato all‘individuazione delle migliori destinazioni funzionali e tipologiche – immediatamente dopo l‘aggiudicazione della concessione per la realizzazione del nuovo Ospedale in modo da giungere alla vendita, se possibile, prima del trasferimento nella nuova struttura". Si può intuire che è, nelle intenzioni dell‘Azienda Ospedaliera "pressare" l‘Amministrazione Locale (Comune di Como) affinché approvi una variante di piano che liberi l‘area dal vincolo pubblico/sanitario. Non si comprenderebbe altrimenti la scelta di promuovere un "concorso di progettazione, finalizzato all‘individuazione delle migliori destinazioni funzionali e tipologiche", visto che il nuovo PRG "blinda" sia funzioni sia tipologie.

Da: "Schede sinottiche di comparazione tra l‘ipotesi di ricostruzione e l‘ipotesi di localizzazione esterna"- 20 gennaio 2001 – redatto da Azienda Ospedaliera Sant’Anna.

Ricostruzione in sito (Camerlata), pag. 2: Alternative uso area (Camerlata): alienazione per funzioni pubbliche e/o private con minore esigenza di accessibilità.

Anche in questo documento si conferma l‘ipotesi della variante di piano. Notare la data del documento: 20 gennaio 2001; cioè 30 giorni prima della firma del protocollo d‘intesa!

Protocollo d‘intesa del 19 febbraio 2001

Riflessioni sul contenuto:

Il documento, che indica come soggetti, Formigoni – Borsani – Selva - Botta, viene sottoscritto unicamente da Botta e Borsani.

Pagina 2, primo capo, si legge: "Prevedere nella parte dell’attuale sede Ospedaliera, in sede di Accordo di Programma, l’insediamento di funzioni diverse da quelle sanitarie, allo scopo di riconoscere un’adeguata valorizzazione dell’area a favore del demanio regionale (N.d.R. Esiste il demanio regionale?), escludendo in ogni caso ogni ipotesi di natura commerciale".

Si può interpretare in questo modo: nessun accenno all’esclusione di edificazioni di tipo residenziale (il 3 nov. 1999, su La Provincia, un dirigente del Sant’Anna, accenna alla possibilità di chiedere, in futuro, una variante di piano). Unica esclusione: insediamenti di natura commerciale (già la Regione ha bloccato la realizzazione di nuovi centri commerciali).

Non si può dire con certezza se, il NON aver escluso gli insediamenti residenziali, sia stato INTENZIONALE. O vi è stata l’intenzione (volontà) o si tratta di dimenticanza. Ciò, comunque, NON è encomiabile; del resto, l’intero protocollo NON è un modello di chiarezza.

2 marzo 2001, da La Provincia. Alberto Botta: "Case ALER al Sant’Anna" e, a seguire, "Un intervento di edilizia residenziale pubblica nell’attuale area Sant’Anna, cosi da ricavare appartamenti per studenti ed infermieri (?). A tale ipotesi sta lavorando il sindaco Botta. "Penso ad un intervento di tipo misto -dichiara Botta - per gli operatori della sanità e per gli studenti".

Teniamo presente che per attuare un Perp, il Comune deve acquisire ed urbanizzare il terreno (con quale denaro?), anche con occupazione d’urgenza, quindi cedere i terreni in diritto di proprietà o superficie, per la costruzione di appartamenti. Se questa è la scelta di Botta, confermerebbe la seguente ipotesi: il Prug prevede, nell’area, destinazione di tipo sanitario, il sindaco Botta già pensa ad una variante di piano, indispensabile per attuare il Perp; i Perp prevedono lottizzazioni; le lottizzazioni aprono la strada a possibili speculazioni!

Nessuno, ha considerato un aspetto importante, relativamente alla dismissione e riedificazione nell’area: la commissione europea, in materia di pianificazione ed uso del territorio e di azione ambientale, ha previsto che, le aree ex sedi di istituti ospedalieri, debbano essere considerate "aree inquinate", e come tali, a seguito di dismissione e successivo riutilizzo per altri usi, "messe in sicurezza mediante bonifica e ripristino del sito, prevedendone un riutilizzo, non prima di tre anni dall’abbandono".

Questa normativa, mai presa in considerazione, porta ad una dilatazione dei tempi di riutilizzo difficilmente quantificabile; ci sono tutti i presupposti per ritrovarci con una "nuova Ticosa"!

L’approssimazione, con cui il protocollo è stato redatto, balza agli occhi allorché recita: "Prevedere nell’attuale area del Sant’Anna (…) una residenza per anziani". Quali anziani? Quelli milanesi che, la D.G.R. 1761 del 20/10/2000 impone di alloggiare nelle nostre case di riposo, in termini di 8 (residenti milanesi) su 10 ospiti?

(e.pe)


Relazioni pericolose

Dalla: "Relazione sanitaria in tema di valutazione dell‘ipotesi di rifacimento del nuovo ospedale all‘interno del perimetro cittadino", a cura dell‘Azienda Ospedale, si legge: "Ad oggi, l‘ipotesi di lavoro era quella di costruire il nuovo Ospedale, fuori città".

Perché si è avanzata solo questa possibilità?

Nella relazione si definiscono i possibili scenari, ma non si presenta alcuna ipotesi (qualcosa simile ad un progetto) per la costruzione di un nuovo Ospedale che insista sul sito attualmente occupato dal vecchio. Si avanzano tuttavia dubbi sulla condizione geofisica del comparto, in relazione ai necessari sbancamenti sulle pendici del Baradello. Si ventilano complicazioni costruttive anche in assoluta mancanza di studi specifici.

Perché si ripetono gli stessi errori?

Dalla: "Relazione sanitaria ed epidemiologica …", documento redatto a cura del Consiglio dei primari" si legge che ritengono l‘area attuale di difficile accessibilità (?), mancanza di adeguate aree di parcheggio (e il futuro Val Mulini?), mancanza di adeguate infrastrutture per l‘utenza (a Villa Guardia ci sono?). Compare anche una tabella che indica in circa 23.500 i fruitori del Pronto Soccorso, cioè il 43% del totale dei fruitori, provenienti da Como e dal lago; certamente per tutti sarà più comodo raggiungere Villa Guardia.

Perché si imbroglia il cronometro?

Dai: "Dati attività sistema di urgenza ed emergenza" a cura dell‘Azienda Ospedale, si legge: "…si può desumere che l’ubicazione del nuovo ospedale in sede extracittadina (Villa Guardia) migliorerebbe i tempi di percorrenza e quindi l’accessibilità alla nuova struttura per almeno il 70% dell’attuale utenza".

E inoltre: "Il trasferimento dell’ospedale aumenterebbe i tempi di percorrenza di 5/10 min. per il 25/30% degli utenti e per il …% (Ndr. non c’è dato numerico, forse si vergognano?) per gli utenti di Como e sponda orientale del lago (35/40%)".

Dalla: "Relazione pool esperti incaricati dalla Regione Lombardia", ottobre 2000, si legge: "Sede attuale : sia l’ipotesi di ristrutturazione, sia l’ipotesi di ricostruzione (nessun progetto esistente) avrebbero dei tempi di realizzazione che, secondo l’azienda ospedaliera, sarebbero pari al doppio di quelli previsti per Villa Guardia.

Perché si imbrogliano le idee?

Anche in passaggi successivi, gli "esperti" utilizzano esclusivamente dati forniti loro dall’Azienda Ospedaliera. Quindi, sottolineando i possibili conflitti con il comparto estrattivo (cioè le cave) e con la zona di espansione produttiva (logistica ed autotrasporto) dichiarano: "Esistono serie problematiche per la localizzazione a Villa Guardia anche legate ad un contesto ambientale, di richiesta qualità, che oggi non esiste (negative le presenze di industrie e commercio, in espansione, e, soprattutto, del polo merci, assolutamente incompatibile con un nuovo ospedale). Di conseguenza, propongono: "L’individuazione di un’area di scambio merci, più a sud lungo l’autostrada". (e.p)


Comica finale

Egr. Sig.

Dott. Carlo Borsani

Assessore regionale alla Sanità, Milano

Como 17. 01. 2001

Caro Assessore,

considerando imminente, secondo le Tue assicurazioni, la decisone sulla localizzazione del nuovo Ospedale di Como, ritengo opportuno riassumerti il pensiero della Amministrazione Comunale al riguardo.

Innanzi tutto:

  • - richiesta di decisione rapida

    - preferenza per la localizzazione in Como – Camerlata della nuova struttura secondo le indicazioni del Consiglio Comunale.

  • Rispondo ora pubblicamente alle tue diverse lettere aperte ed in presenza di sollecitazioni pubbliche varie, pur conservando le mie remore e preoccupazioni. Spero di non aggiungere danno al danno.

    Le localizzazioni ipotizzate sono state molte:

    - Olgiate Comasco: troppo distante dalla città e dal bacino d’utenza.

    - Cassina Rizzardi: viabilisticamente inagibile, scomoda, ambientalmente inopportuna.

    - Como San Martino: stesse caratteristiche di Cassina Rizzardi con l’aggravante di penalizzare la città (parco urbano) e l’Università.

    - Villa Guardia: libera da impedimenti, da urbanizzare e – come dice il toponimo "gelada" - fredda e nebbiosa.

    - Camerlata: completamente urbanizzata, con problemi di conflittualità tra cantiere e degenti.

    Scartate ovviamente le prime tre sono rimaste le ultime due.

    Quale Sindaco della città di Como e mandatario di delibera di Consiglio Comunale posso – lo ammetto – essere condizionato nel parere dall’amore per la città e dalla fiducia in me riposta dalla maggioranza dei cittadini.

    L’azienda Ospedaliera è probabilmente la prima azienda – dal punto di vista occupazionale – di Como. Ma anche per deficit gestionale.

    Da qui l’urgenza di decidere al più presto nel modo più efficiente possibile.

    L’Amministrazione Comunale di Como, ha cercato di contribuire con poche chiacchiere ed alcune ipotesi progettuali (fatti, non parole!).

    Fin dal settembre scorso in seno al comitato tecnico per il richiesto accordo di programma venne presentata una possibile utilizzazione dell’area che da Piazza Camerlata – G.B. Grassi – arriva sino al monoblocco.

    Credo correttamente Ti ho poi presentato proposte culturali, professionali, degli architetti Capsoni e Terragni. La prima invasiva sulla via Napoleona, la seconda ricalcante sostanzialmente quella comunale settembrina verso il G.B. Grassi. Quale ulteriore contributo ho chiesto agli uffici una ulteriore e più pregnante ipotesi, modulare nei tempi e nelle funzioni. Non di ristrutturazione ma di costruzione/ricostruzione.

    Tale ipotesi è stata analizzata come risulta dalla tua del 12.01.2001, in uno con le altre e con encomiabile tempismo a dimostrazione della attenzione al problema.

    Ti sottopongo al riguardo alcune osservazioni:

    - Costi: si ipotizza di realizzare dalla alienazione della sede attuale 50 miliardi: mi sembra fuori mercato se non a seguito di improbabili varianti urbanistiche.

    - Costi: l’acquisizione dell’area di Villa Guardia sembra sottostimata rispetto ai valori correnti di mercato ed esproprio.

    - Costi: l’area attuale è urbanizzata, quella di Villa Guardia da urbanizzare. Con il 50% di quanto previsto per la localizzazione Villa Guardia al solo servizio della struttura Ospedaliera si risolverebbero in gran parte i problemi viabilistici di Como Camerlata e dell’Ospedale ivi insediato.

    - Costi: trasferire l’Ospedale a Villa Guardia significa la necessità di nuovi investimenti in radiologia/medicina nucleare, ecc. e distruzione dell’esistente. Il bunker non è smontabile e rimontabile, le diverse apparecchiature non possono perdere un solo giorno di utilizzo.

    Di qui il nuovo a Villa Guardia, l’abbandono di Camerlata. Miliardi, decine di miliardi .

    - Tempi: è certo che la riedificazione in loco per lotti richiederà tempi conclusivi più lunghi, ma l’ultima ipotesi presentata – quella su via Napoleona, in parte verso Camerlata – (così come quella Capsoni) può permettere laboratori ed ambulatori, uffici e sale accoglienza in due/tre anni.

    Potrebbe cioè risolvere i problemi di attesa per esami ed analisi in tempi più brevi rispetto ad ogni altra ipotesi.

    E con i tempi di laboratori ed ambulatori quelli più importanti per la salute dei cittadini. E probabilmente per il conto economico aziendale. Nel frattempo, se necessario sarà possibile l’utilizzo del San Martino a livello ambulatoriale – come già oggi avviene – senza problemi per gli altri reparti nella fase di cantiere. Poi i nuovi padiglioni anticipano la demolizione dei vecchi e ne consentono una progressiva utilizzazione, ben prima dei 10/14 anni stimati dai tuoi tecnici.

    E laboratori più efficienti alleviano, accorciano le sofferenze dei degenti, degli acuti, i tempi di ricovero.

    Non credo che gli attuali tempi lunghi siano colpa degli addetti, dell’organizzazione.

    Su tali presupposti non posso che riconfermare la mia del 31.11.2000 in uno con il Presidente dell’A.P. Armando Selva di individuazione dell’area attuale come maggiormente idonea.

    Senza dimenticarne le difficoltà operative e confidando nelle parole del Presidente Formigoni e Tue:

    "Attendiamo il parere di due Enti Locali Provincia e Comune Capoluogo e rispetteremo in ossequio al principio delle autonomie locali la loro indicazione."

    Un ‘ultima osservazione personale in pieno "abuso"; da utilizzatore del Sant’Anna abituale in allergologia ed occasionale in altri reparti posso assicurare la grande professionalità dei medici e del personale meritevole della fiducia dei cittadini e di una struttura migliore.

    Adeguata al loro impegno ed alle loro capacità.

    Mi auguro di non avere con la presente ritardato la decisone della Regione.

    Nell’interesse dei cittadini, nel rispetto degli addetti.

    Rivendicando il ruolo degli Enti Locali ed estraneo a qualsiasi ipotesi polemica, invio i più cordiali saluti.

     

    (Firmato Alberto Botta)

    P.S.: è pur sempre valida l’ipotesi

    San Martino all’Università

    Camerlata – Cittadella della sanità per ASL ed ambulatori Azienda Ospedaliera Sant’Anna.

    Acuti - e solo acuti - a Villa Guardia.


    Ultime notizie

    Questo "Avviso" è giunto ventiquattro ore prima della richiesta di appuntamento e conferma due cose: il rigore con il quale si procede nell’operazione e – soprattutto – la capacità di rispettare i tempi (la cosiddetta "tempistica").

    28-05-01 12:30 da SEGRETERIA PARTICOLARE ASS. SANITA' +039026765 .... T-S91 P.02/02 F-074

    Milano 28 maggio 2001

    Egregi Signori

    Dott. ARMANDO SELVA

    Presidente Amministrazione Provinciale di Como

    Dott. ALBERO BOTTA

    Sindaco di Como

     

    Via FAX

     

    A seguito del nostro incontro di questa mattina, vorrei pregarVi di avvisare i Vostri Capigruppo sia di ma ggioranza che di minoranza per partecipare alla riunione relativa all'Ospedale S.Anna domani, 29 giugno, alle ore 15 presso l'Assessorato Regionale alla Sanità.

    Cordialmente

    Firmato

    CARLO BORSANI

    Assessore alla Sanità

    Regione Lombardia